Oliver Sacks – L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello
Editore: Adelphi
Anno di pubblicazione: 1986 (prima edizione)
Pagine: 303
Prezzo di copertina: 11 €
Genere: Racconti brevi
Sacks, l’autore del libro, raccolse in questo testo vari brevi racconti nati dalla sua professione: neurologo. Ogni racconto infatti si presenta come una “analisi di caso”, una riflessione sia medica che più …umana su pazienti della sua clinica.
In ogni caso si incontra un paziente diverso, con la sua anamnesi familiare e la sua esperienza di vita. Ognuno ha un problema neurologico differente che l’autore affronta e spiega con termini a volte anche specialistici: autismo, sindrome di Tourette, problemi di percezione, amnesie, ritardo mentale, ecc. In ogni racconto però, anche se non si è “dottori”, ci si sente presenti e partecipi alla diagnosi del paziente: Sacks infatti narra iniziando sempre dal suo incontro con le persone, raccontando poi le sue riflessioni, arrivando alle sue conclusioni e aggiungendo infine un post scriptum in cui aggiorna il lettore sulla situazione attuale del paziente.
In questo libro si può intuire anche il pensiero dell’autore, la sua base teorica, concettuale. Il paziente, dice Sacks, non è infatti una mera anamnesi, ma è un racconto vero, spontaneo. Solo in uno sguardo totale possiamo cogliere anche il “chi”, oltre al “che cosa”. I racconti di Sacks riflettono infatti questo pensiero presentando “persone” prima di “pazienti”.
I bambini amano e chiedono storie e sono in grado di capire argomenti complessi se presentati sotto forma di storie, quando le loro capacità di comprendere concetti generali e paradigmi sono ancora quasi inesistenti. E’ questo potere narrativo o simbolico che dà un senso al mondo – una realtà concreta racchiusa nella forma immaginativa del simbolo e della storia – quando il pensiero astratto non può fornire assolutamente nulla. Un bambino capisce la Bibbia assai prima di Euclide. Non perché la Bibbia sia più semplice (si potrebbe anzi sostenere il contrario), ma perché è strutturata per simboli e narrazioni.
I nostri test, i nostri approcci, pensai osservandola lì sulla panchina, in muto godimento di uno spettacolo naturale che lei sentiva come sacro, le nostre “valutazioni” sono ridicolmente insufficienti. Ci rivelano solo i deficit, non le capacità; ci forniscono solo dati frammentari e schemi, mentre abbiamo bisogno di vedere una musica, un racconto, una seria di azioni vissute, un essere che si comporta spontaneamente nel suo vissuto naturale.
Non vi è “soggetto” nella scarna storia di un caso clinico; le anamnesi moderne accennano al soggetto con formule sbrigative (…) che potrebbero riferirsi a un essere umano come a un ratto. Per riportare il soggetto – il soggetto umano che soffre, si avvilisce, lotta – al centro di un quadro, dobbiamo approfondire la storia di un caso sino a farne una vera storia, un racconto: solo allora avremo un “chi” oltre a un “che cosa”, avremo una persona reale, un paziente, in relazione alla malattia – in relazione alla sfera fisica.