Joseph Roth – La cripta dei cappuccini

  • Editore: Adelphi
  • Anno di pubblicazione: 1976
  • Pagine: 195
  • Prezzo di copertina: 10 €
  • Genere: Romanzo storico

“La cripta dei cappuccini” è una storia ambientata nella prima metà del Novecento. Si svolge principalmente a Vienna ed è narrata in prima persona dal “signorino” Trotta.
Il protagonista all’inizio del libro è un giovane, nullafacente, amante di bevute e ritrovi con gli amici. Un nobile dedito alla “bella vita”. Rispetto ai suoi amici dimostra subito maggiore senso di realtà e minore superficialità, seppur non discostandosi di molto.
La storia è attraversata, anzi, basata, sul susseguirsi di fatti politici (cadute di governo, guerre, schieramento politici) della zona Austro-Ungarica, della Prussia. Con il proseguire della storia, il protagonista ne risente sempre di più, perdendo ricchezza e affetti. La storia narrata nel libro è intrecciata in modo molto coinvolgente alla storia davvero svoltasi, diventandone il punto di forza del libro. Inoltre durante il racconto si aprono molte tematiche interessanti, accennate a volte anche solo come tratti di penna: l’amore profondo del figlio per la madre, il matrimonio del protagonista, l’amicizia quasi amore della moglie per un’altra donna, l’arte africana, l’estetismo, il cinema, ecc.
Il finale è aperto e un po’ amaro ma non avrebbe potuto essere diversamente. Questo libro infatti mostra con chiarezza cosa significhi vivere con il peso della morte vicina sulle spalle, sentendosi piccole parti di una storia mondiale troppo vasta e veloce per sentirsene parte.

Aveva una voce profonda e morbida (…). Il suo parlare mi ricordava una sorta di smorzato tubare, contenuto, casto e nondimeno torrido, un mormorare di fonti sotterranee, il lontano rullare di treni lontani, che talvolta si sente nelle notti insonni, e la più banale delle sue parole acquistava per me, grazie  a questa profondità del timbro col quale veniva pronunciata, la pienezza, il vigore espressivo di un remoto linguaggio primitivo.

La morta incrociava già le mani ossute sopra i calici dai quali bevevamo.

…la grande guerra, che giustamente, a mio parere, viene chiamata “guerra mondiale”, e non già perché l’ha fatta tutto il mondo, ma perché noi tutti, in seguito ad essa, abbiamo perduto un mondo, il nostro mondo.

La vigilia di Natale del 1918 ritornai a casa (…). Il mio berretto era nudo, gli avevano staccato la rosetta. Il mio colletto era nudo, gli aveva staccato le stellette. Io stesso ero nudo. Le pietre erano nude, i muri e i tetti. Nudi erano i radi lampioni.

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